Per la prima volta, un referendum locale a Berlino raggiunge il quorum. E stravolge le previsioni della vigilia: dovranno essere pubblicati tutti gli accordi stipulati con le multinazionali Veolia e Rwe, soci al 49% dell’azienda idrica. A sostenerla solo i Verdi. Si apre la strada alla rescissione dei contratti. Seppure di misura, il comitato berlinese contro la privatizzazione dell’acqua l’ha spuntata. Al referendum di domenica 665.713 berlinesi, pari al 27 per cento degli elettori, hanno approvato la proposta di legge che impone di pubblicare tutti gli accordi relativi alla parziale privatizzazione dell’acqua, accordi che dal 1999 garantiscono alti utili a Veolia e Rwe, titolari del 49 per cento delle Wasserbetriebe. Perché un referendum abbia successo, il regolamento regionale richiede che voti sì almeno un quarto degli elettori. Occorreva convincere 615.571 persone. I sostenitori della proposta sono stati 50.000 in più, e tanto è bastato per confermarla, per la prima volta in un referendum cittadino berlinese. Non ci si era riusciti né nel 2008, quando si chiedeva di lasciare aperto l’aeroporto di Tempelhof e non si raggiunse il quorum, né nel 2009, quando la maggioranza si espresse contro l’inclusione dell’insegnamento della religione nel curriculum scolastico (era e resta meramente facoltativo). Tra quanti hanno votato stavolta, la quota dei contrari alla pubblicazione dei contratti sull’acqua è stata irrisoria. Ben il 98,2% dei partecipanti ha votato sì. Un plebiscito.
Con l’eccezione dei Verdi, tutti i partiti avevano dato indicazione di votare no o di non andare a votare. Sia quelli favorevoli alle privatizzazioni, come liberali e democristiani: era stato il borgomastro Cdu Eberhard Diepgen, nel 1999 alleato con la Spd in una grande coalizione, a cedere il 49% alla francese Veolia e al colosso dell’energia Rwe. Sia i socialdemocratici pentiti, visto che a Berlino l’acqua è rincarata del 35 per cento, che ora promettono di «rinegoziare» i contratti e, «se possibile», perfino di ricomunalizzare (ma gli ostacoli sono fortissimi, perché i soci privati pretenderebbero una buonuscita esosa). Sia i socialisti della Linke, che votarono contro l’ingresso dei privati quando erano all’opposizione, ma che – da quando governano la città insieme ai socialdemocratici – ci tengono a dar prova di affidabilità rispettando le intese con Veolia e Rwe.
Con l’eccezione della Tageszeitung e della Berliner Zeitung, i giornali berlinesi hanno dato pochissimo spazio al referendum. Sui fogli popolari del gruppo Springer, Bild e B.Z., sabato solo trafiletti di poche righe nelle pagine interne davano notizia del referendum imminente. In città nessun manifesto, visto che il Berliner Wassertisch, la tavola berlinese dell’acqua, aveva a disposizione appena 12.000 euro raccolti con una colletta. Per giunta domenica scorsa i negozi erano aperti, con la scusa del festival internazionale del cinema. Tutto congiurava a far del referendum un buco nell’acqua.
La giunta regionale ridicolizzava il referendum come «superato» e «inutile», perché il senato avrebbe già pubblicato a novembre «tutti i documenti rilevanti», ovvero il contratto principale di cessione a Veolia e Rwe (già messo in piazza dal quotidiano Tageszeitung). Denunciava come «incostituzionale» la proposta dei promotori, nella parte che dichiara retroattivamente nulli accordi segreti. Assicurava ai cittadini di «condividere le finalità» dei promotori del referendum – una gestione dei servizi nell’interesse pubblico – e chiedeva di non disturbare il manovratore con esagerate richieste di trasparenza.
La vittoria del Wassertisch è quindi una solenne doccia fredda per il borgomastro socialdemocratico Klaus Wowereit e per l’assessore socialista all’economia, Harald Wolf, che aveva annunciato che non sarebbe andato a votare (nonostante molte sezioni di quartiere del suo partito, la Linke, facciano parte della rete per l’acqua pubblica). Tuttavia Wowereit, domenica sera, ha avuto la faccia di bronzo di leggere il voto come «sostegno al programma del senato», che intenderebbe recuperare almeno alcune quote dell’azienda dell’acqua (pare che Rwe, orientata a concentrarsi sull’energia elettrica, sia effettivamente disposta a vendere: resta da vedere a che condizioni).
Al di là delle interpretazioni, quali saranno le conseguenze? Veolia e Rwe – d’intesa con l’amministrazione di Berlino – potrebbero far ricorso alla Corte costituzionale berlinese (ogni Land tedesco ha una sua Costituzione) contro la proposta di legge oggetto del referendum, nella parte che annulla le intese segrete, rivendicando il diritto delle imprese alla riservatezza delle loro strategie. Probabilmente finirà in tribunale anche la disputa su cinque contratti collaterali alla privatizzazione, stipulati nel 1999, che pare regolino anche la ripartizione degli utili, per cui Berlino incassa solo il 35% pur possedendo il 50,1% delle quote.
L’esistenza dei contratti è certa. Ma per i funzionari di Wowereit si tratterebbe di documenti «interni» alle Wasserbetriebe, che non rientrerebbero in quelli tra il Land e i soci privati. Si continuerà a spaccare il capello in quattro, anche se il senso del referendum è chiarissimo: «Ridateci la nostra acqua».
Tratto da:
Il Manifesto